Appunti sul testo "Le radici culturali della diagnosi". Argomenti trattati: malattia mentale, psicofarmaci, disturbi della personalità, borderline
Le radici culturali della diagnosi
di Carla Callioni
Appunti sul testo "Le radici culturali della diagnosi". Argomenti trattati: malattia
mentale, psicofarmaci, disturbi della personalità, borderline
Università: Università degli Studi di Bergamo
Facoltà: Scienze della Formazione
Titolo del libro: Le radici culturali della diagnosi (Prima Parte)
Autore del libro: Pietro Barbetta
Editore: Meltemi
Anno pubblicazione: 20031. IL DISCORSO FILOSOFICO DELLA DIAGNOSI
È scontato dire che la personalità ha una struttura ed essa ha a che fare con la tendenza da parte di individui
a commettere certe azioni. Alcune di queste sono immorali come il provocare un danno al prossimo
direttamente o indirettamente, altre invece provocano direttamente o no un danno alla persona stessa che le
compie (autolesionismo). Infine azioni considerate contrarie alla pubblica morale e al comune senso del
pudore (travestimento). Le persone che praticano in modo continuo e sistematico queste attività si possono
considerare poco adattive e affette da un disturbo della personalità di una certa gravità.
Esistono però una serie di circostanze storiche, culturali e contestuali che riconoscono legittimazione morale
alle persone che praticano condotte come quelle citate. L’intervento clinico, come le teorie bioetiche,
prevede due principi generali: del permesso che impone al clinico di attivare un percorso terapeutico solo
dopo aver ottenuto il consenso dell’interessato, e di beneficenza.
La psicodiagnosi è un campo di competenze che fornisce un giudizio sulle condotte umane in relazione a
una distinzione semantica del tipo normale/patologico. Un crimine può essere punito se può essere in
qualche modo essere reso intelligibile. La perdita di moral agency, la dichiarazione di malattia mentale a
posteriori, dopo che il gesto folle è stato compiuto, salva le persone dalla pena detentiva (come nel caso di
H. Corner). A dseguito della secolarizzazione del pensiero filosofico si riconosce che le forme del pensiero
intorno alle condotte morali sono molteplici, contestuali e interne a comunità etiche differenti.
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Le radici culturali della diagnosi 2. FONDARE LA NORMALITA’
Habermas formula il principio di universalizzazione che consente di soddisfare tre presupposti importanti:
- Presupposto cognitivista: i giudizi morali sono espressi attraverso un contenuto cognitivo. Ad ognuno si da
la possibilità di “distinguere fra giudizi morali giusti e giudizi morali errati;
- Presupposto universalista: chiunque partecipi alla conversazione su questi presupposti giunge ai medesimi
giudizi;
- Presupposto formalista: la sua formula elimini tutti gli orientamenti concreti verso il mondo.
Secondo Habermas è possibile formare un’etica della comunicazione che permetta agli individui, liberi da
presupposti di interesse particolare, di trovare un accordo attraverso l’argomentazione. Tale accordo
dovrebbe giungere alle medesime conclusioni formali, sempre in linea di principio. La sua posizione viene
rappresentata come un processo di costruzione; solo chi accede a un’etica post-convenzionale può entrare in
questo tipo di orizzonte morale che appartiene all’individuo adulto e cognitivamente sviluppato.
Habermas fa riferimento alle teorie piagetiane sullo sviluppo morale e alla loro reinterpretazione fatta da
Kohlberg, il quale ha sviluppato una teoria a stadi dello sviluppo morale suddivisa in 3 livelli di moralità:
preconvenzionale, convenzionale e postconvenzionale (quest’ultimo consiste in 2 stadi: contrattualistico e
dei principi etici universali). Kohlberg Ha inoltre costruito uno strumento di valutazione del livello e dello
stadio di sviluppo morale di ogni individuo: consiste nella presentazione di una serie di dilemmi morali e in
base alle risposte date l’intervistato riceve un punteggio che lo colloca in un determinato livello (Il più noto
è il dilemma di Heinz). Ma il test di Kohlberg È andato lentamente scomparendo.
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